domenica 21 novembre 2021

Gammazita: la forza di ogni donna

I racconti popolari, come perle preziose, adornano la storia arricchendola e, tramandandosi di generazione in generazione, si trasformano in leggende in cui i valori propri della tradizione divengono le radici profonde che identificano ogni uomo. E a Catania, i quattro candelabri che ornano piazza Università, cuore pulsante della città, rappresentando alla propria base antichi miti, si tramutano in testimoni perenni della memoria collettiva. Con la loro bronzea presenza, sotto il blu intenso del cielo terso catanese, sembrano dominare lo spazio intorno con la forza dirompente delle loro immagini, ponendosi come esempi da emulare.

Come la commovente storia della giovane Gammazita, una bellissima fanciulla catanese, vissuta al tempo della dominazione angioina in Sicilia, che era solita andare a prendere l’acqua nel pozzo che ancora oggi si trova in pieno centro storico, adiacente alla cinta muraria a due passi dal Castello Ursino. Di lei si invaghì un soldato francese, Droetto, che però lei rifiutò perchè promessa sposa ad un altro. Ma proprio il giorno del suo matrimonio, mentre si recava a prendere l’acqua, fu aggredita brutalmente dal soldato. Vistasi preclusa ogni via di scampo, si buttò nel pozzo preferendo la morte al disonore. Sconvolti, i catanesi iniziarono una caccia all’uomo e per scovarlo venne chiesto a tutti i passanti di pronunciare la parola dialettale “Ciciri” in italiano Ceci, così lo straniero, non essendo in grado di farlo correttamente, fu individuato.

Connubio perfetto tra mito e storia, questa leggenda fonde la realtà storica con il sentimento patriottico fortemente radicato nella nostra Isola. Essa trae spunto dai contrasti sorti tra i dominatori francesi e i siciliani durante il periodo della dominazione angioina iniziata nel 1266 con Carlo d’Angiò, che dopo aver sconfitto Manfredi nella battaglia di Benevento, dominò la Sicilia fino al 1282 quando la rivolta dei Vespri Siciliani pose fine al suo governo.

Gammazita si trasforma così in un modello di straordinario coraggio e di determinazione nella lotta contro l’oppressore e la sua storia, raccontata nel corso del tempo, scorre lungo i secoli arricchita di dettagli e nuovi personaggi mantenendo però inalterato il suo messaggio più profondo: il viscerale desiderio di libertà che caratterizza e che arde incessantemente nell’animo di ogni donna siciliana.

Ardore che ha animato semplici donne del popolo la quali hanno partecipato attivamente  alle rivoluzioni guidate dagli uomini, come Dina e Clarenza eroine dei Vespri o come, secoli dopo, Rosa Rosso Donato, moglie di uno stalliere, e tosatrice di cani, la quale durante la rivoluzione del 1848, a Messina porta il fazzoletto tricolore al collo e combatte col grado di caporale, riconoscimento conquistato sul campo per essersi posta a scudo umano, e lotta sparando con un vecchio cannone tolto ai borbonici. Stesso ardimento lo si ritrova nella postina catanese Giuseppa Bolognani, ancora oggi ricordata come Peppa a Cannunera, che a Catania, mentre le camicie rosse di Garibaldi avanzano a Palermo, conquista un cannone e lei stessa accende la miccia per scompaginare le fila dei nemici e poi lo piazza alla Marina e attacca la nave da guerra che sta cannoneggiando la città. E ancora sono sempre le donne siciliane che hanno iniziato la resistenza italiana nei primi di agosto del 1943.

Il loro valore di donne coraggiose ha attraversato i secoli ed è esploso in tutta la sua potenza di fronte a ogni brutale oppressione, ma la loro intraprendenza, fiamma interiore mai spenta, ma sempre alimentata dalla passione ha dato loro la forza di lottare, non solo per la libertà della propria terra ma anche per i propri diritti e la propria dignità, compresse da secoli di ottusità maschilista. Come la baronessa catanese Maria Paternò che nel 1808 fu la prima donna a ottenere il divorzio in Italia o ancora la nostra concittadina Carmelina Naselli che nel 1949 fu la prima docente universitaria in Italia, insegnando nella nostra facoltà di lettere.

La loro caparbia tenacia, le ha portate a conquistare posti di rilievo in campi prettamente maschili, come la politica, per dimostrare tutto il loro spessore culturale e umano e nel 1946 la siciliana Ottavia Penna Buscemi fu la prima donna italiana a essere votata come Presidente della Repubblica.

Eredi di Gammazita hanno sempre posto in primo piano la propria integrità morale, la propria onestà di donne e hanno combattuto con fermezza la Mafia, un cancro che tormenta la nostra terra da tempo immemore e come tale lo hanno affrontato tentando di estirparlo alla radice, come Felicia Impastato, Rita Borsellino e Maria Falcone.

E oggi non si può non ricordare l’impegno costante di tutte le altre donne che operano nell’anonimato, che studiano, lavorano, ed educano i propri figli nella cultura dell’uguaglianza, del rispetto e della reciprocità, e che, con la loro determinazione, dimostrano l’incredibile forza caratteriale della donna siciliana, quella forza che ha reso affascinante questa leggenda e che è stata catturata nell’immagine disegnata nel 2019 da Simone Bianchi nel manifesto della rassegna Etna Comics in cui la giovane, dall’aspetto prominente e dallo sguardo penetrante sembra voler affermare la propria dignità di donna e gridare a gran voce di non cedere mai alla violenza e alla becera follia di uomini frustrati e deboli.

In questo modo Gammazita, riemerge dal nostro passato e insegna alle donne siciliane di ogni tempo a sublimare la propria sofferenza, e a risorgere poiché ognuna porta dentro di se una scintilla del fuoco dell’Etna, “A muntagna”, così come la chiamano i catanesi, che infiamma con superbo orgoglio, l’anima segreta della nostra Sicilia.

venerdì 12 novembre 2021

Colapesce: eroe dei nostri tempi

Piazza Università, inondata dalla luce calda del sole catanese, risplende nel suo abbraccio vivificatore insieme alle eleganti facciate barocche degli antichi palazzi che la circondano, il Siculorum Gymnasium noto come Palazzo dell’Università poiché fu sede della prima Università siciliana fondata nel 1434 dal re Alfonso D’Aragona, il Palazzo Gioieni d’Angiò, il Palazzo di San Giuliano e il retro del Palazzo degli Elefanti sede del Municipio. Essi con la loro sobria signorilità testimoniano la grandezza di un tempo mai sopito, perenne retaggio di valori che ancora oggi animano la vita di ogni catanese.

La pietra lavica della pavimentazione assorbe i raggi nella sua profondità nera e li proietta in bagliori di luce sui quattro candelabri in bronzo che sembrano animarsi di vita propria. Posti ai quattro angoli della piazza, furono realizzati nel 1957 dagli scultori catanesi Mimì Maria Lazzaro e Domenico Tudisco. Silenziosi custodi del patrimonio culturale della nostra città, raffigurano quattro leggende catanesi: Colapesce, i fratelli Pii, Gammazita e il paladino Uzeda; le quali, perdendosi nei meandri più lontani dei tempi antichi, mantengono vivo lo spirito più profondo del nostro essere siciliani e si pongono a noi come modelli da cui trarre forza.

Come Nicola, il leggendario pescatore di Messina, soprannominato Colapesce per le sue straordinarie abilità di nuotatore. Ogni giorno si tuffava in mare e scendeva nei fondali con lunghe immersioni alla ricerca di tesori antichi. La sua fama arrivò all’imperatore Federico II re di Sicilia che lo mise alla prova gettando una coppa in mare, ma Colapesce la riprese subito. Allora ci riprovò con la sua corona che Colapesce recuperò prontamente. Però durante queste immersioni Colapesce si accorse che una delle tre colonne che sorreggono la Sicilia, quella di Capo Peloro, era crepata dal fuoco sotto l’Etna. Lo raccontò al re che però non gli credette accusandolo di mentire per non voler più immergersi. Allora il giovane si lanciò di nuovo in mare con un pezzo di legno per dimostrargli l’esistenza del fuoco, ma non riemerse più, ritornò a galla solo il pezzo di legno bruciato a dimostrazione della sua tesi. In realtà Colapesce non morì ma scelse volontariamente di non riemergere e di sorreggere la colonna sotto l’Etna per evitare che la Sicilia sprofondasse. E se qualche volta la terra trema proprio tra Catania e Messina ciò è dovuto perché Colapesce si muove per cambiare lato della sua spalla.

Le origini di questa suggestiva leggenda si perdono nei misteri e nei riti di un tempo lontano e sembra collegarsi al culto tardo pagano dei figli di Nettuno secondo il quale essi, accoppiandosi con misteriosi animali marini, divenivano sommozzatori dotati di poteri magici in grado di trattenere il respiro.

Racconto mitico tramandatosi per via orale attraverso i secoli e poi affiorato in testi scritti. E una sua prima attestazione letteraria risale al XII secolo grazie al poeta franco-provenzale, Raimon Jordan, che narra di un giovane di nome Nicola che viveva come un pesce. Ma anche in Inghilterra il monaco Walter Map scrive di un Nicolaus che viveva immerso nel mare senza respirare.


Il suo fascino ha sedotto e ispirato non solo cantastorie come Otello Profazio ma scrittori come i siciliani Giuseppe Pitrè e Leonardo Sciascia ma anche il napoletano Benedetto Croce e lo stesso Italo Calvino che la trascrisse nelle sue Fiabe Italiane.

La sua forza intrinseca, rimasta inalterata nel tempo, è giunta fino ai giorni nostri e si pone come monito ma soprattutto come sprone per ogni siciliano che da questo esempio di sacrificio estremo trae fermezza e determinazione. Qualità evidenti nell’impegno costante di molti nostri giovani che hanno deciso di investire ogni loro risorsa nella nostra Isola. Catturati dal suo fascino selvaggio intriso di vitalità esuberante, hanno lavorato questa nostra terra e dato vita ad aziende agricole di rilievo, hanno curato con dedizione rigogliosi vigneti alle pendici dell’Etna e hanno prodotto vini di qualità che si sono imposti come marchi di rilievo. Lo stesso Michele Cappadonna, presidente di AGCI Sicilia, ha affermato con orgoglio il ruolo determinante della nostra regione in questo settore sempre più in espansione, con colture sempre più rispettose dell’ambiente. E ancora, altri giovani, proiettati in un
futuro digitale, ma decisi a non andare via, hanno lottato e dato vita proprio a Catania, presso Palazzo Biscari, alla prima Startup, un’impresa che unisce innovazione e avanguardia per creare progetti che abbiano un alto impatto economico e sociale e che facciano della Sicilia la leadership di tutto il Mezzogiorno.

Tutti loro, novelli Colapesce, animati da un profondo amore e rispetto per questa nostra terra, la sorreggono giorno dopo giorno manifestando tutto il loro orgoglio nell’appartenervi volendo far conoscere al mondo intero i nostri valori più profondi. In questo modo l’impegno e il sacrificio del leggendario pescatore di Messina si perpetua ogni giorno nelle loro azioni e si rinnova con sempre più vigore in un armonioso e invisibile legame che unisce eroi di un tempo arcano con questi eroi dei tempi moderni.


Pupi moderni senza onore

Nell’era della tecnologia e della multimedialità parlare dell’Opera dei Pupi significa ritornare indietro in un luogo sbiadito del nostro pa...